venerdì 7 novembre 2014

Moheir – A Rough Soundtrack


Interessante proposta quella dei Moheir
Premetto che è la prima volta che scrivo per Bangszine e non ho intenzione di rendermi prolisso come nei precedenti articoli. La prima cosa che salta all'occhio dei Moheir è che dappertutto risultano come i nuovi Calibro 35. La stessa mail pervenutaci li definisce come “un incrocio tra il funk dei Calibro35 e le colonne sonore di Franco Michelizzi”.
Io invece li definirei più come: “gli At The Drive In che tentano di suonare i Naked City da quando hanno un sax nell'organico”. Non che l'idea mi dispiaccia ma, del resto, non possiamo mica pretendere che Nicola Saba sia Bill Frisell, né che Alex Cardinale sia John Zorn (ma neanche Luca Mai) così è naturale che la band rimanga arenata tra un certo post rock un po' manierato alla Giardini di Mirò (Need A Gun) o su omaggi punk prog che ricordano più i King Crimson che gli Zu. Del resto, è anche la cosa più naturale d'attendersi, se si scava nel passato della band: Miss Tavlor (2010) è un'ep molto equilibrato, che mostra una formazione alle prese con un post hardcore molto melodico, tipo Fuh (del resto, Dancing Judas è uscito nello stesso anno).





Rispetto ai primi King Crimson, però, i Moheir mostrano un sax meno graffiante che, se ad esempio regge bene sulla parte del solo di chitarra a 01:30 di Heisenberg, rischia di diventare un po' una noia melanconica su pezzi come Hammer Serenade o An 80's Italian Sunny Sunday. L'album nel complesso mostra una formazione capace e matura, ma che mostra carenze nel lato compositivo proprio nelle parti più melense. Le parti più efficaci sono puntualmente quelle che ricordano il passato prossimo più propriamente post hardcore, come l'accoppiata tra l'attacco spinto ed il riff alla Daniele Sepe che c'è sulla prima parte di White Space Conflicts.


Il sax, comunque, è l'ultimo dei problemi del gruppo. La sezione ritmica, nel complesso, funziona piuttosto bene, anche se il riff di Heisenberg è un po' scontatino. Il problema più evidente nei brani è sostanzialmente legato alle parti soliste di chitarra. Nicola Saba è un ottimo chitarrista ritmico e possiede una vasta gamma di sonorità ed ha già dimostrato in precedenza una buona vena melodica. I pezzi però perdono di grinta e di originalità ogni volta che si cimenta in un solo di chitarra. Il tocco, ad esempio, non può essere migliorato. In Wave Pressure, c'è un solo effettato che meriterebbe di alternare un po' di più la misura delle note, e far partire un bel delay un attimo prima del cambio a 04:20 sarebbe stato un tocchetto di classe mancato. Il solo di wha di Cinemon è carino, ma non è abbastanza saturo. Sembra voler dare fastidio ma non voler osare troppo. Il solo di Hammer Serenade, invece, lamenta di essere sostanzialmente solo in ottave. Va bene finché si suona gli Arctic Monkeys, o i pezzi di chitarra ritmica: ma per fare un solo su un pezzo prog ci vuole ben altro!
Nulla da eccepire, invece, per la parte solista di Heisenberg, che parte su una sensibilità decisamente più stoner, si presta a varianti ritmiche e aggiunge una piccola sfumatura hendrixiana alla fine, per poi evolversi in un bello sclero casinaro in pieno stile Zorniano.


In fin dei conti, basta decidere di cambiare metodo: o si affida la parte solista maggiormente al sax (sperando una virata alla Morphine), oppure si ridimensionano le parti soliste di chitarra o si ritorna su uno stille chitarristico già consolidato, come quello di Miss Tavlor.
L'idea del titolo del disco è perfetta. L'album è una colonna sonora grezza, con le sue luci ed ombre ma che nel complesso regala una serie d'immagini diverse e contrastanti, un eclettismo piacevole e di difficile catalogazione. Su tutte forse brilla la scelta di mettere Firelands Theme, il pezzo più da colonna sonora in assoluto, alla fine, cosicché, nella sua estrema semplicità, ci regala cinque minuti finali di dolcezza, riportandoci ad atmosfere vicine a quelle dei Calexico (anche se le chitarre mi fanno pensare, a tratti, ai Seven Mile Journey).


Gruppo interessante, i Moheir, sicuramente bei mandrilloni da palco.
Se passassero a Bologna, pagherei volentieri anche una decina d'euro per vederli. Ciononostante, A Rough Sountrack è un album che mostra grinta e coraggio, ma anche che, avventurandosi in lidi ostinati, i Moheir hanno perso la brillantezza e la chiarezza compositiva che avevano nel precedente Ep.

VOTO: 65

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